Medicina narrativa

ESTRATTO dal gruppo “medicina narrativa” di facebook

narrazioneIn questo articolo intendo presentare le principali acquisizioni del percorso di ricerca di James Pennebaker, professore di psicologia presso l’Università del Texas, ad Austin.

Pennebaker studia da circa vent’anni una problematica che interessa scrittori, pedagogisti, psicologi, linguisti e potenzialmente ognuno di noi: perché scrivere può far bene? Riflettendo di tanto in tanto per iscritto su situazioni ambigue ed emotivamente coinvolgenti che mi capita di vivere, ho constatato che scrivere mi aiuta in molti sensi; per esempio, mi facilita nella chiarificazione e nella soluzione di problemi di ogni sorta; aumenta le mie capacità cognitive: sono più attento e ricordo meglio; mi fa essere più spontaneo e presente nelle situazioni sociali, più in sintonia con gli altri e disponibile a interagire senza copioni. Inoltre mi aiuta ad accettare serenamente le mie reazioni cognitive ed emozionali alle situazioni sociali.

Si trova traccia di osservazioni analoghe in una quantità sterminata di romanzi, poesie, diari, saggi e manuali e altri testi di tutte le epoche, perlomeno da Platone in poi. E da qualche tempo in Italia la scrittura autobiografica viene proposta come metodo di autoconoscenza, autoterapia, educazione degli adulti e promozione dell’apprendimento (vedi per es., Cambi, 2002; Demetrio, 1996; 2003; Farello e Bianchi, 2001; Progoff, 2000).

Avrebbe senso compilare un elenco dei benefici della scrittura? E che aspetto avrebbe tale elenco? Quali forme di scrittura possono essere benefiche? Come possiamo definire le forme della scrittura; in altre parole, esistono delle variabili testuali psicologicamente rilevanti per classificare i testi a seconda degli effetti che si producono nella loro stesura? A chi fa bene scrivere? E come si possono spiegare i vari benefici osservati introspettivamente?

Queste domande affascinanti hanno tutte a che fare con la traduzione in parole di un qualche sentire interiore; ma cos’è questo “sentire”? E avrebbe senso sostenere che le parole traducono quel sentire o piuttosto il testo è qualcosa di autonomo che si crea nel processo stesso della scrittura?

Come si vede da queste prime domande, lo studio dei benefici della scrittura è un ambito di interesse che porta rapidamente al centro di alcuni problemi fondamentali della psicologia, della filosofia della mente e del linguaggio e della linguistica.

scritturaJames Pennebaker ha studiato sperimentalmente, con acume e creatività, alcuni di questi problemi. In particolare ha analizzato i benefici quantificabili derivanti dalla stesura di testi autobiografici centrati su esperienze stressanti. Se oggi la psicologia sperimentale è in grado di dire qualcosa a proposito dei benefici della scrittura e dei processi emozionali, cognitivi, comportamentali e sociali che si attivano con lo scrivere, è in gran parte grazie al lavoro condotto da Pennebaker e colleghi. Infatti l’autore ha cercato una risposta a queste domande trovandosi in pochi anni al centro di un fecondo filone di studi rigorosi, intelligenti e affascinanti.

Lungo questo percorso ha riconosciuto le potenzialità di alcuni nuovi strumenti tecnologici e le ha messe a frutto per studiare, in modo processuale e dinamico, i benefici personali ottenuti grazie alla scrittura e riscontrabili anche nel contesto dei dialoghi e delle interazioni naturali. Così, recentemente, il suo campo di interesse si è esteso all’uso del linguaggio in contesti naturali e alla ricerca delle qualità del linguaggio che possono essere correlate allo stato di salute individuale, ai traumi personali e collettivi, alla personalità e ad altre variabili studiate da psicologi sociali e della personalità. Il paradigma della scrittura espressiva Gli studi di Pennebaker sui benefici della scrittura, come spiega lui stesso (Pennebaker, 1997a), cominciano nel 1983 con la tesi di master della sua allieva Sandra Beall.

Mentre Pennebaker all’epoca era interessato al rapporto fra scrittura e salute, la Beall era curiosa di conoscere i possibili benefici psicologici derivanti dell’espressione delle emozioni. Decisero quindi di condurre un esperimento che avrebbe soddisfatto gli interessi di entrambi: avrebbero chiesto a un gruppo di soggetti volontari – studenti universitari – di scrivere o di alcune loro esperienze traumatiche o di argomenti privi di rilevanza personale.

narrareInoltre i soggetti del primo gruppo avrebbero scritto dei loro traumi in uno dei tre modi seguenti: 1. limitandosi a esprimere le loro emozioni durante la sessione di scrittura; 2. limitandosi a trattare i traumi nei loro aspetti fattuali, concreti; 3. trattando i fatti ed esprimendo le emozioni provate nell’affrontare i traumi. Con il permesso dei soggetti, i ricercatori avrebbero valutato il loro stato di salute raccogliendo e confrontando le informazioni sul numero di visite per cure mediche, effettuate presso l’ambulatorio dell’università riservato agli studenti, nei mesi precedenti e successivi all’esperimento.

I volontari vennero reclutati nei corsi introduttivi di psicologia in cambio di crediti. Poiché si trattava del primo studio di questo genere, avvertirono gli studenti che, se avessero partecipato, gli sarebbe potuto succedere di dover trattare per iscritto argomenti estremamente personali. Inoltre, ogni giorno, per tutta la durata dello studio, fu ricordato loro che potevano ritirarsi in qualsiasi momento, senza perdere i crediti promessi. Dei quarantasei studenti che presero parte all’esperimento non se ne ritirò nessuno. Di fatto, soltanto due persone non si presentarono uno dei quattro giorni di scrittura. Ognuno si recò in laboratorio da solo, e lì incontrò la Beall.

Nell’incontro iniziale, la studentessa spiegò ai volontari che avrebbero dovuto scrivere ininterrottamente per quindici minuti, per quattro giorni consecutivi, da soli all’interno di uno stanzino dello stabile di psicologia. Poiché era essenziale che tutto restasse anonimo e confidenziale, ai partecipanti fu chiesto di segnare sui questionari e sui loro scritti dei numeri di codice anziché nome e cognome.

scrittoIn effetti, fu detto loro che, se lo desideravano, potevano anche tenersi i loro scritti, senza consegnarli. Dopo avere risposto a tutte le domande, la Beall assegnò casualmente i partecipanti a una delle quattro condizioni di scrittura. In altre parole, ognuno di loro ebbe le stesse probabilità degli altri di dovere trattare per iscritto uno dei quattro argomenti prestabiliti.

Il testo delle consegne utilizzate con chi avrebbe dovuto trattare per iscritto i pensieri e gli stati d’animo relativi a un trauma è il seguente (Pennebaker e Beall, 1986), e negli anni successivi venne poi riutilizzato sostanzialmente uguale in decine di altri esperimenti: Voglio che Lei, una volta chiusa la porta dello stanzino in cui verrà accompagnato, scriva continuamente dell’esperienza più sconvolgente o traumatica di tutta la sua vita. Non si preoccupi della grammatica, dell’ortografia e della struttura del periodo. Voglio che nel suo testo Lei esamini i suoi stati d’animo e i suoi pensieri più profondi in merito a tale esperienza. Può scrivere di qualunque argomento. Ma qualunque esso sia, dovrebbe trattarsi di qualcosa che l’ha colpita molto profondamente. L’ideale sarebbe se scegliesse qualcosa di cui non ha parlato con nessuno nei particolari. Ad ogni modo, è essenziale che Lei si lasci andare ed entri in contatto con quelle sue emozioni e con quei suoi pensieri più profondi. In altre parole, scriva che cosa è successo, come allora ha vissuto l’episodio e che cosa prova ora al riguardo. Infine, può scrivere di traumi diversi nel corso di ogni sessione, oppure sempre dello stesso per tutto lo studio. Ad ogni sessione, la scelta del trauma di cui scrivere spetta soltanto a lei.

narrazione2Le persone assegnate alla condizione in cui si doveva scrivere soltanto delle emozioni connesse ai traumi ricevettero istruzioni identiche, tranne che per un aspetto: ebbero la consegna specifica di non menzionare il trauma. Dovevano invece scrivere come si sentirono in quella circostanza traumatica e come si sentivano attualmente.

I volontari a cui fu chiesto di concentrarsi sui fatti, invece, dovettero semplicemente descrivere con cura i loro traumi, senza fare riferimento alle loro emozioni.

Infine, ai soggetti di un gruppo di controllo, fu chiesto di scrivere, in ogni sessione, di argomenti superficiali o irrilevanti. Per esempio, descrivere nei particolari cose come la stanza dello studentato in cui i soggetti alloggiavano oppure le scarpe che indossavano. Il gruppo di controllo servì a valutare quale fosse l’effetto sulla salute del puro e semplice fatto di scrivere nel contesto di un esperimento.

Tutti gli studenti quindi, come si è detto, scrissero per quindici minuti al giorno per quattro giorni consecutivi. L’ultimo giorno, dopo la sessione di scrittura, la Beall e Pennebaker parlarono a lungo con i partecipanti delle loro esperienze e sensazioni riguardo all’esperimento. Infine, quattro mesi dopo, i partecipanti compilarono un questionario che misurava la loro percezione dell’esperimento a distanza di tempo. Per gli studenti, l’effetto immediato dello studio fu molto più forte di quanto i ricercatori non avrebbero mai immaginato. Molti di loro piansero mentre scrivevano dei loro traumi.

Molti riferirono di avere fatto sogni e pensieri continui, durante i quattro giorni dello studio, sugli argomenti trattati per iscritto. La cosa più significativa, tuttavia, furono i testi: uno dopo l’altro, rivelarono gli stati d’animo più profondi e i lati più intimi dei loro autori. In molte storie vennero rivelate gravi tragedie umane.

I ricercatori erano interessati innanzitutto ai cambiamenti di salute fisica avvenuti nel corso dell’anno scolastico. Inoltre volevano scoprire in che modo l’esperimento avesse influito sull’umore dei partecipanti. Poiché dopo ogni periodo di scrittura i soggetti avevano compilato delle checklist, non appena terminò lo studio fu possibile valutare i cambiamenti di umore. Emerse che, subito dopo avere descritto le loro esperienze traumatiche, i soggetti si sentivano malissimo. Si sentirono molto peggio dopo avere scritto di traumi che non dopo avere scritto di argomenti superficiali. Questi effetti furono più pronunciati nelle persone a cui era stato chiesto di sondare le proprie emozioni mentre descrivevano i loro traumi.

oniricoCirca sei mesi più tardi, l’ambulatorio per gli studenti fu in grado di fornire i dati sul numero di visite per cure mediche che ogni studente aveva richiesto nei due mesi e mezzo prima e nei cinque mesi e mezzo dopo l’esperimento. Dopo lo studio, le persone che avevano scritto dei loro sentimenti e pensieri più profondi riguardo a un trauma avevano avuto, rispetto agli altri gruppi, un calo impressionante nel numero di visite per cure mediche.

Nei mesi prima dell’esperimento, i soggetti dei diversi gruppi si erano rivolti all’ambulatorio, per le loro malattie, con la stessa frequenza. Dopo l’esperimento, tuttavia, la persona media che aveva scritto dei suoi pensieri e sentimenti più profondi si era rivolta all’ambulatorio meno di 0,5 volte – un calo del 50% nella frequenza mensile delle visite. Chi aveva scritto soltanto delle emozioni relative a un trauma o degli aspetti concreti dell’episodio o di argomenti superficiali si era rivolto all’ambulatorio mediamente quasi 1,5 volte.

I volontari avevano compilato anche altri questionari quattro mesi dopo l’esperimento; praticamente tutte le informazioni emerse da quei questionari corroborarono i dati forniti dall’ambulatorio. Il fatto di scrivere dei pensieri e dei sentimenti più profondi relativi ai propri traumi aveva indotto un miglioramento dell’umore, un atteggiamento più positivo e una salute fisica migliore.

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